C’è vita anzi addirittura fermento nel fantastico mondo del “food journalism”. E in tempi in cui la carta se la passa tutt’altro che bene, le testate editoriali di settore spingono sempre più forte sull’online, tra approfondimenti, percorsi paralleli, estensioni e nuove connessioni digitali. Spesso virtuose e ispirate, talvolta approssimative e improvvisate. Per questo Eatinero ha pensato di guidarvi in un micro viaggio alla scoperta di alcuni tra i magazine più autorevoli e dinamici, che ci fa solo piacere consigliarvi spassionatamente per letture avventurose, oltre i confini del cibo di strada fino all’empireo del “gusto totale”. Tra grandi classici a testate più “di nicchia”, abbiamo incontrato alcuni direttori e chiesto di parlarci dei loro progetti.
MANGIAEBEVI: UN NOME, UN PROGRAMMA, UNA GARANZIA
Tra i precursori del genere, ancora oggi in splendida forma, è il magazine online di enogastronomia, ristorazione e ospitalità MangiaeBevi, nato nel 2006 come guida cartacea dedicata ai migliori ristoranti di Roma e del Lazio con una distribuzione esclusiva “a panino” con il prestigioso settimanale di Mondadori “Panorama”, da sempre letto da un target di lettori strategico (imprenditori, professionisti, decision maker). “Fattore questo - osserva Fabio Carnevali, fondatore ed editore - che ci ha permesso di affermare la testata fin dal primo numero, che allora tirava circa 90.000 copie. Numeri che oggi ahimè non ha più nessuno. Nel 2017 sono cessate le pubblicazioni della guida e la testata si è trasformata in un quotidiano online, anche se noi amiamo ancora definirlo “magazine”-
Cosa vi caratterizza e rende distintivi rispetto alle altre testate?
MangiaeBevi non si rivolge alla massa ma prevalentemente a un pubblico di buongustai, un movimento in continua crescita, sempre più attento alla qualità del cibo, alla sperimentazione, alle novità dell’offerta ristorativa, al buon bere, alle esperienze di gusto. Un pubblico quindi competente che utilizza MangiaeBevi come strumento di orientamento nel variegato mondo enogastronomico.
Su quali contenuti puntate principalmente?
MangiaeBevi racconta il mondo dell’enogastronomia e della ristorazione di qualità, nel modo più obiettivo e genuino possibile attraverso contenuti scritti da giornalisti specializzati nell’enogastronomia: servizi sui ristoranti e sulle nuove aperture, anteprime di eventi e fiere, itinerari enogastronomici, interviste e reportage. Inoltre le sfiziose ricette proposte dai migliori chef. La nostra direttrice Sara De Bellis e la nostra caporedattrice Giorgia Galeffi raccolgono contenuti, proposte e interviste su tutto il territorio nazionale e coordinano i nostri collaboratori, presenti in ogni regione d’Italia.
Che percezione avete del mondo dello street food? Quali temi trovereste avvincenti sviluppare a riguardo?
È un mondo molto vivace, in continuo fermento e divenire, che ha saputo rendere “da strada” anche alcune tipologie di cibo alle quali era difficile pensare. MangiaeBevi dà abitualmente spazio allo street food, alle nuove proposte ed idee, agli eventi dedicati. Ma siamo aperti anche a suggerimenti per sviluppare nuovi contenuti.
Ha ancora senso parlare di “critica”? Giornalismo “enogastronomico”: quali i limiti, quali le prospettive?
Avrebbe senso in presenza di figure altamente competenti, ma oggi di personaggi come Enzo Vizzari, Luigi Cremona, Jerry Bortolan e Guido Barendson, tanto per fare alcuni nomi, ce ne sono pochissimi quindi la “critica” è demandata a giornalisti che non hanno la stessa preparazione e, soprattutto, lo stesso palato. Di conseguenza si è ridotta anche l’autorevolezza delle guide che, per mancanza di queste figure, non sono in grado di visitare tutti i ristoranti che realmente meritano conferme o nuove gratificazioni. Oggi, l’unica guida ancora in grado si spostare gli equilibri (e i fatturati) è la Michelin.
SCARPETTA: MAGAZINE PER RACCOGLIERE IL GUSTO OVUNQUE ESSO SIA
Molto più recente ma non meno ispirato è Scarpetta, coordinato da Anna Prandoni durante il lockdown: “Abbiamo colto la situazione di stallo lavorativo per creare qualcosa di nuovo e che potesse essere di soddisfazione per noi e per chi ci legge” racconta. “L’esigenza era di avere uno spazio libero e senza schemi per esprimerci. In realtà è anche un esperimento: volevamo tentare di realizzare un progetto che dimostrasse che la carta - da sola - è ancora uno strumento vitale e concreto di comunicazione e non ha per forza bisogno di declinazioni web. Un ragionamento un po’ controcorrente che sta premiando. Scarpetta vuole raccogliere fino all’ultimo boccone il gusto, ovunque esso sia. Non ci limitiamo quindi al cibo ma consideriamo questo concetto filosoficamente, applicandolo ai viaggi, alle persone, alle storie e ai prodotti”.
Cosa vi caratterizza e rende distintivi rispetto alle altre testate?
Sicuramente il fatto di essere piccoli, agili e snelli ci dà una libertà di movimento notevole. Siamo un micro editore e questo ci dà un vantaggio competitivo (e anche qualche svantaggio, ovviamente). Non abbiamo vincoli di alcun genere, non dobbiamo “rendere conto” delle nostre scelte e quindi agiamo in maniera perfettamente autonoma rispetto a brand e persone. Per l’editoria classica questa è davvero una rivoluzione. E poi, dal punto di vista dei contenuti, produciamo tutto internamente: anche questo è un unicum nel panorama editoriale attuale.
Su quali contenuti puntate principalmente?
Amiamo raccontare belle storie, con fotografie inconsuete e reportage. Credo sia questa la vera chiave vincente del progetto. Insieme a una community appassionata che ama le cose che facciamo, come noi.
Che percezione avete del mondo dello street food? Quali temi trovereste avvincenti sviluppare a riguardo?
Adoriamo lo street food! E lo troviamo un modo perfetto per conoscere le specialità locali e le tradizioni. Su uno dei prossimi numeri abbiamo in programma proprio un reportage su questo tema, per raccontare le storie di chi lavora in questo settore. Sicuramente sono esperienze affascinanti.
Ha ancora senso parlare di “critica”? Giornalismo “enogastronomico”: quali i limiti, quali le prospettive?
La critica ha senso se è fatta da persone competenti e che hanno solide basi tecniche. La critica “popolare” secondo me dovrebbe limitarsi alla sua vera forza: fare o meno il successo di un ristorante. Il giornalismo enogastronomica ha senso in quanto giornalismo, a prescindere dal settore. Meno recensioni e più riflessioni, insomma.
AGRODOLCE, UN VIAGGIO NEI PIACERI DEL PALATO
Agrodolce vuole raccontare il mondo della gastronomia a 360°. Il nome stesso è l'unione dei due gusti più estremi, l'agro e il dolce, tra i quali esiste ogni espressione dei piaceri del palato. Così Agrodolce li vuole raccontare tutti, dalla ristorazione agli eventi, dalle ricette ai nuovi trend.
“Circa otto anni fa sono stata chiamata da un editore romano intenzionato a creare un nuovo prodotto editoriale dedicato all'ambito enogastronomico” riavvolge il nastro Lorenza Fumelli, direttore editoriale. “Venivo già da esperienze piuttosto consolidate (Dissapore, Il Fatto Quotidiano), ho quindi accettato la sfida iniziando a lavorare al progetto Agrodolce in ogni suo aspetto, supportata da un valido team tecnico e da una redazione che ho potuto selezionare personalmente. E dopo otto anni siamo quasi tutti ancora qui”.
Cosa vi caratterizza e rende distintivi rispetto alle altre testate?
Agrodolce è scritto da una squadra di professionisti del settore, giornalisti, critici gastronomici, esperti di ogni tipo, dai sommelier di vino a quelli del caffè, dai degustatori di birra ai nutrizionisti. Ma soprattutto è scritto da veri appassionati della materia che sanno trasmettere con entusiasmo ogni notizia, segnalazione o ricetta. La squadra è il nostro punto di forza, quindi la credibilità.
Su quali contenuti puntate principalmente?
Se il mondo dell'alta cucina interessa oggi meno pubblico di quanto non fosse 3 o 4 anni fa, sappiamo che ci sono ambiti di interesse in crescita, come quello healthy e del fitness. Il nostro compito è individuare i trend e portarli all'attenzione dei nostri lettori.
Che percezione avete del mondo dello street food? Quali temi trovereste avvincenti sviluppare a riguardo?
Se parliamo di street food in Italia dobbiamo intendere due cose separate. Da una parte c'è il cibo di strada tradizionale come il panino con la meusa o con la porchetta, il lampredotto, il gelato, la pizza in teglia o il cuoppo napoletano e altre ricette da passeggiata al mercato rionale. Dall'altra parte invece ci sono i camioncini super moderni che propongono ogni sorta di cibo, adatti per eventi di intrattenimento all'aperto e altre occasioni di raduno. I primi sono quelli che maggiormente mi interessa studiare e raccontare.
Ha ancora senso parlare di “critica”? Giornalismo “enogastronomico”: quali i limiti, quali le prospettive?
Certamente. E sono sempre meno le persone in grado di parlare di gastronomia con una reale competenza. Il fatto che il cibo sia diventato centrale nella vita mediatica delle persone non le ha trasformate in esperti. L'esigenza da parte mia, come direttore editoriale, è scremare sempre di più i collaboratori dando spazio solo a chi veramente ha avuto la curiosità per approfondire e, perché no, tanta esperienza. Possibilmente anche a livello internazionale.